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Paola Ricci - Sarà tutto come prima?

Sarà tutto come prima?

Se lo augurano in molti. Dopo la fase acuta della crisi, si desidera ritornare in fretta alla vita di sempre con l’intenzione inespressa di dimenticare, di cancellare le tracce di ciò che si è vissuto e che ha, sia pure in forme diverse, duramente colpito. Il lavoro inesorabile dell’oblio starà forse ad indicare – come molte volte è successo di fronte ai drammi della storia – che il futuro è davanti a noi, libero e aperto, ed è sul presente che si devono impegnare le risorse migliori. Contro il peso della memoria – con i suoi possibili abusi – non è meglio neutralizzare i ricordi dando diritto all’oblio? Sono le domande che da sempre hanno interrogato la filosofia ed anche alcuni pensatori a noi contemporanei, come Paul Ricoeur e Tzvetan Todorov, oppressi dalle tragedie del Novecento e convinti che la memoria e l’oblio debbano venire profondamente ripensati. Se da un lato entrambi non possono bloccare la spinta innovativa del tempo, dall’altro non si può pensare all’elogio incondizionato della memoria e neppure all’avvizzimento rituale dell’oblio. A dire il vero – nota Todorov – la memoria non si oppone affatto all’oblio; i due termini che si contrastano sono invece la cancellazione (l’oblio) e la conservazione, così che la memoria sia sempre e necessariamente una interazione fra le due (Mémoire du mal. Tentation du bien, 2000). Pretendere una restituzione integrale nel presente di quanto si è subìto a livello planetario nei tre mesi di quarantena, con tutto il carico di paura, di angoscia, di dolore sarebbe tanto impossibile quanto eticamente devastante sul piano personale e sociale.

Ritorna comunque ancora la domanda: sarà tutto come prima? E che cosa dovremmo cancellare e al contempo conservare? Sono ancora “calde” le immagini della tragedia non ancora conclusa: lo strazio dei malati isolati e impauriti, accanto alla generosità impagabile della classe medica, la solidarietà estesa a quanti erano e sono ancora nel bisogno, la gioia commossa dei canti dal balcone, la speranza della pronta guarigione dei malati, la compassione degli anziani murati dentro le pareti delle RSA, il terrore dei morti caricati nei camion dell’esercito, l’incubo di morire soli e molto altro ancora... Tutto impietosamente da ricordare e, al contrario, tutto generosamente da seppellire nell’oblio? L’usura temporale di ciò che è avvenuto, il potere consolatorio del voler dimenticare saranno forse il balsamo pietoso sulle ferite? Oppure dobbiamo ricordare, e come? Certamente lo dobbiamo a quanti ci hanno lasciato improvvisamente, lo dobbiamo a noi che vogliamo recuperare le energie positive per riaffrontare il presente, lo dobbiamo come un dovere necessario per le generazioni che verranno.

È Ricoeur a ricordarci che il passato non è solo, in forma negativa, “ciò che non è più” e che a causa della potenza distruttrice del tempo, già sottolineata da Aristotele, va irrimediabilmente perduto. Limitarsi solo a questo significherebbe rifiutare di vivere dentro il trauma che ci ha attraversato, rovesciando sul presente le attese di momenti nuovi e migliori. Ma il passato mostra anche il suo volto positivo quando, invece di presentarsi come il non più, prende la forma dell’essente stato, del Gewesen che rinvia al Wesen (Heidegger), a quell’essere cioè che continua a rimanere nella permanenza fluida del ricordo e che solo la memoria può evocare, custodire come forza attiva. Riconquistando, nella percezione del trascorrere del tempo, una traccia salutare che offra il senso di una dimensione etica garante della fedeltà e della verità di ciò che è avvenuto.

Quello che deve rimanere è forse il modo inedito in cui si è disteso il tempo. Si parla al riguardo alla mutazione, in tempo di Covid, della percezione usuale del presente, sconnesso dalla sua dinamica lineare fatta di rapidità e di fretta. Abituati a padroneggiarlo, come fosse nostro possesso, lo abbiamo usato come ritmo della nostra quotidianità, lo abbiamo cioè organizzato secondo i bisogni, non ricordando che il tempo non è una nostra proprietà, ma è qualcosa che ci è stato dato e che abbiamo ricevuto nel corso della nostra esistenza, per riempirlo di occasioni di bene per sé e per gli altri. In questi giorni sentiamo dire che siamo stati bloccati in un tempo “virtuale”, più corretto è pensare che siamo stati “ospitati” dentro la sua custodia, dal momento che il tempo si vive, non si possiede. La grande opportunità è dunque quella di offrire nuovo spazio al tempo, misurandolo non tanto secondo le nostre pretese, ma da quanto può donarci in ordine al senso, ricordando – ecco la luce della memoria – che come il tempo giunge a noi gratuitamente, anche noi possiamo vivere di gratuità. Il tempo, sempre e comunque, scorre secondo la “sua” misura, ma dentro la sua marcia possiamo cogliere l’occasione di ricondurre ad unità ciò che siamo e che vogliamo essere, ricordando che non viviamo solo per noi, ma siamo fatti gli uni per gli altri.

Non dobbiamo forse vivere di riconoscenza verso l’altro, con cui ogni giorno – soprattutto in questo tempo – siamo stati costretti a vivere? Certo il tempo continuerà a passare, ma nel giorno che passa, qualcosa rimane, ossia il senso del nostro stare al mondo. Nessun tempo “sospeso”, dunque, ma tempo vissuto, caricato di una verità che va oltre la durezza del presente. Per tutto ciò abbiamo il dovere di rac-contare, di dar conto cioè di quello che oggi siamo e che domani dobbiamo continuare ad essere: fedeli e coraggiosi.

Sul versante occidentale del monte Herzl, a Gerusalemme, è stato costruito un grande Memoriale, lo Yad Vashem, dedicato alla raccolta di testimonianze delle vittime ebree nei campi di sterminio nazisti. All’ingresso una scritta: La memoria rende liberi. Vale anche oggi e per tutti: anche quando ricordare sembra riaprire le ferite, aumentare il risentimento, restare prigionieri di un tempo vuoto e di relazioni offuscate dalla paura. Sarà tutto come prima? Divisi fra ottimisti e apocalittici, vogliamo pensare di no. Quando questo disastro epocale sarà attenuato o, speriamo, finito, la forma migliore di liberazione dal male che ci ha attraversato sarà raccogliere ancora le primizie del tempo, facendolo fruttare secondo i ritmi delle stagioni.



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